L' arte di amare? L' espressione, a prima vista, ha in sé qualcosa di contraddittorio: come se il sostantivo suggerisse un' esperienza o un uso non-passionali della passione designata dal verbo. Ma qualunque sia il senso della formula, non si tratta certamente di un' invenzione di Ovidio: lo provano le molte opere i cui titoli, prima e dopo la sua Ars amatoria, propongono anch' essi un' oculata, programmata gestione del desiderio. Il lettore curioso di questa letteratura può oggi approfittare per meglio studiarne la natura e le ambiguità d' una fortunata coincidenza: la nuova, eccellente edizione che del poema ovidiano Emilio Pianezzola ha allestito per gli Scrittori latini e greci della Fondazione Valla con la collaborazione di Gian Luigi Baldo e Lucio Cristante (Mondadori, pagg. 439, lire 42.000) esce infatti a pochi mesi di distanza dalla prima traduzione italiana dal sanscrito del Kamasutra (Trattato sull' amore o sul desiderio) di Mallanaga Vatsyayana (a cura di Cinzia Pieruccini, Marsilio, pagg. 253, lire 16.000); e una lettura parallela dei due libri che in questo campo si contendono il primato della fama non può non rivelarsi, sotto molti aspetti, assai istruttiva. Ma prima di azzardare il confronto, una premessa è necessaria. La nostra idea dei rapporti tra i due sessi nella civiltà indiana è essenzialmente fondata, come forse era inevitabile, su dei luoghi comuni: tra questi i primi posti spettano al sacrificio della sat, la vedova che si immola sul rogo del marito, e all' ingegnosa molteplicità, documentata da opere come il Kamasutra, delle tecniche erotiche indiane. Ma fino a che punto tradizioni del genere rispecchiano una situazione culturale realmente diversa da quella che si è espressa e continua ad esprimersi nelle consuetudini, tanto più umane e povere di fantasia, che ci sono familiari? Se di usanze analoghe all' atroce celebrazione della sat non c' è traccia nell' antico Occidente, proprio Ovidio ci ricorda che casi di mogli gettatesi, come quella di Capaneo, sulla pira del marito sono registrati anche nei nostri classici. Quanto alla problematica delle tecniche erotiche, delle posizioni ecc., essa non è estranea all' Ars amatoria, i cui versi più d' una volta evocano le mille possibili figurae dell' accoppiamento e i non meno numerosi modi contemplati dall' iconografia erotica del tempo. Né vanno dimenticate le opere greche menzionate nel commento che trattavano specificamente questa materia: opere per noi perdute. Caro lettore, immagina ciò che non dico Bastano, però, convergenze come queste a diminuire la distanza tra le due culture? Quelli che Ovidio dedica alle figurae sono fugaci cenni, ed è legittimo chiedersi per quali motivi egli non abbia indugiato su un tema cui il lettore antico non doveva essere meno interessato del moderno. Non sono sicuro che questa apparente discrezione si debba unicamente al timore, chiamato in causa da diversi commentatori, di andare contro la politica moralizzatrice di Augusto. Né prenderei molto sul serio la ragione addotta alla fine dell' Ars amatoria per giustificare la cautela dell' autore in questo campo (Ulteriora pudet docuisse) ché quando si tratta di parlare, invece che dei modi, dei tempi dell' amplesso, ogni riserbo pare dileguarsi. Assai più credibile, e più importante ai fini del nostro parallelo, è quanto Ovidio dice in un' altra opera, dove invita il lettore a immaginare ciò che le sue parole non dicono. Questo appello alla complicità del lettore nulla ha di politico o di prudenziale: risponde, piuttosto, a una strategia letteraria che è quanto di più lontano si possa pensare dallo spirito con cui Vatsyayana scrive il suo Kamasutra. Ma per capirci meglio torniamo all' idea, e esercizio, dell' amore come arte. Nell' affrontare la questione, il punto di partenza dei due autori sembra essere lo stesso. Ovidio sostiene che la bona ars (l' eloquenza) con cui il giovane Romano apprende a difendere trepidi imputati o a trionfare in politica può essere di valido aiuto negli approcci amorosi: come il popolo e il giudice austero e l' eletto senato, si arrenderà anche la ragazza, vinta dalla tua parola. Anzi, alla radice della sua Ars c' è proprio l' esortazione, rivolta ai giovani amanti, a farsi più docti, più competenti: ci sono le arti dell' auriga e del marinaio, perché non dovrebbe esistere quella del corteggiatore? Vatsyayana, dal canto suo, tessendo l' elogio della varietà e dell' invenzione nei ludi amorosi, suggerisce un paragone con le arti della guerra: nel trattato sulla scienza dell' arco e negli altri manuali sulle armi è richiesta la varietà: perciò tanto più in questo campo!. Ma i richiami alle altre arti hanno un suono, nelle due opere, radicalmente dissimile. Se il Kamasutra è un vero trattato fondamentalmente ortodosso nell' ambito della tradizione indù , l' Ars ovidiana è un trattato, se non per burla, certo percorso da spiriti satirici e dissacratori. Nel primo, sono proprio gli intenti scientifici e didattici di Vatsyayana a ispirare le pagine molto meno piccanti di quanto è portato a supporre chi non le ha lette sulle tecniche erotiche: pagine che sarebbe ingenuo attribuire solo all' inesauribile, capziosa fantasia degli Indiani. Oltre all' esigenza definitoria e classificatoria propria di ogni opera didattica il Kamasutra riflette l' ossessione enumerativa delle culture orientali, documentata anche dai trattati erotici cinesi. Vatsyayana ci parla delle sessantaquattro arti erotiche, dei dieci stadi del desirio, delle sette specie di messaggere, ecc., con la stessa analitica metodicità con cui rimanda agli autori che hanno discusso in passato i medesimi problemi. Tutt' altra aria si respira nell' Ars amatoria. Anche Ovidio, beninteso, ha le sue fonti, e ne fa sfoggio ogniqualvolta se ne offra l' occasione. Ma quali fonti? Le sue fonti più importanti sono i poemi didascalici dedicati alle arti serie, ai quali si diverte a fare il verso, e tutte le grandi opere antiche e recenti che raccontano storie buone da parodiare nei suoi joca nei suoi giochi amorosi. Quale che sia l' insegnamento impartito, Ovidio trova infatti appigli per battute maliziose di cui a fare le spese sono gli eroi della tradizione. Perché il lettore, sentendo parlare di certe carezze, dovrebbe scandalizzarsi? Non ne avrà fatte di simili si chiede Ovidio Ettore a Andromaca? I riferimenti storici o mitologici sono, insomma, solo occasioni e pretesti per rendere più sapido, più scanzonato il discorso. Non vorrei, però, fare torto al Kamasutra presentandolo come un arido manuale. La meticolosità della trattazione, le sue classificazioni inducono l' autore ad avventurarsi in paesaggi che ci sembrano, più che esotici, improbabili: e la singolarità della casistica esaminata trasforma a volte una pacata discettazione nella più immaginosa delle drammaturgie. La lettura si fa, a questo punto, assai intrigante. Un terreno sul quale Vatsyayana raggiunge (a circa due secoli di distanza) Ovidio, e ne ricalca, senza saperlo, la lezione, è quello della discussione sui tempi e i luoghi più propizi alle avventure galanti. Ma se Ovidio si limita a segnalare le opportunità che offrono i banchetti e gli spettacoli affollati, dove l' esiguità dello spazio impone di star stretti e le regole del luogo ti fanno toccare la ragazza. (Durante uno spettacolo o una riunione di parenti leggiamo nel Kamasutra (il corteggiatore di una fanciulla) sieda vicino a lei e, fingendo altro, cerchi il suo contatto), Vatsyayana sempre richiamandosi ai teorici che prima di lui hanno approfondito la questione addita come momenti favorevoli quelli in cui scoppia un incendio o si crea confusione per un furto, o si mette in marcia l' esercito del paese. Tra galateo e trattato di seduzione Tra le enumerazioni fantasiose si potrebbero citare quella delle diverse specie di parole e suoni da intercalare ai lamenti che accompagnano le effusioni amorose (perché non imitare, per esempio, i versi della tortora, del cuculo, della colomba, e del pappagallo, il ronzio dell' ape e le voci della gallinella, dell' anatra e della pernice, tutti mescolati ai gemiti?; o quella delle ragazze da non prendere in considerazione (tra di esse, chi ha un' avvenente sorella minore, chi ha un nome con in coda le lettere elle o erre, chi è rossa di capelli e chi suda in continuazione). Ma in quale misura queste esclusioni non fanno che echeggiare pregiudizi tradizionali? La sensazione del profano è che se Vatsyayana ha meno fantasia di Ovidio, la cultura cui il suo trattato appartiene ne ha più della nostra. Ma lasciamo stare, per un momento, le culture e le forme, e proviamo a leggere le due opere ingenuamente. Che effetto ci fanno, a tanti secoli di distanza, il trattato serio e quello faceto su un tema, come questo, di perenne attualità? L' impressione è che, dei due messaggi, il più soggettivo, il più legato al clima di un' epoca e alla personalità di un individuo, volubilissimo per giunta, è anche quello che si rivela più duraturo. Il Kamasutra ci affascina perché ci offre un coloritissimo spaccato, quasi atemporale, di una civiltà puntigliosa e sontuosa come quella indiana; ma il suo è il fascino della distanza e della diversità, che ci attraggono e, insieme, ci respingono. Opposto è il caso di Ovidio, che tanto ci è vicino e tanto ci assomiglia da farci dubitare dell' imparzialità del giudizio che possiamo portare sulla sua Ars amatoria. Basta leggere il terzo libro, dedicato alle donne, che è una via di mezzo tra un galateo e un trattato di seduzione. Non c' è un solo suggerimento sul modo di vestire o di pettinarsi, di parlare o di truccarsi, che possa considerarsi datato. La donna di Ovidio è al tempo stesso semplice e sofisticata, non rifugge dagli artifici, sa quali sono i difetti di pronuncia che le donano (In vitio decor est); ma agli abiti tessuti di costosissima porpora preferisce un abbigliamento casual. Sì, proprio questo Ovidio ci spiega: che c' è, nell' agghindarsi, un' ars casu similis. Non ci sono circostanze, anche le apparentemente più incongrue, che una donna di mondo non sappia volgere a proprio favore. Talvolta dietro certi scherzosi ammonimenti, o notazioni apparentemente obiettive, fa capolino una punta di perfidia. Come quando Ovidio raccomanda alle donne di bassa statura di sedere perennemente: perché non corrano il rischio, stando in piedi, di apparire sedute. Ma c' è un' osservazione più generale da fare a questo proposito. Ho parlato poco fa di trattato faceto. Mi sembra ora necessario aggiungere che di questo spirito estrosamente brillante e di questa ostentata voglia di vivere e di divertirsi non c' è troppo da fidarsi. Giustamente osserva Emilio Pianezzola nell' introduzione che l' Ars è di non facile interpretazione in tutte le sue implicazioni. Di queste ultime una mi sembra tuttavia trasparente. Se c' è bisogno di un' ars per riuscire ad amare e a essere amati, ci sono altre cose che la nostra natura automaticamente ci insegna: sono la sfiducia, la slealtà, l' inimicizia. Una quasi invincibile inclinazione al male ispira la condotta degli uomini: né Machiavelli né Hobbes oseranno dire quanto si legge in Ovidio, che nil nisi turpe iuvat.
- di GIAN CARLO ROSCIONI
- di GIAN CARLO ROSCIONI
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